
Mercoledì 20 febbraio 1974, la vigilia del carnevale delle donne, una donna di ventisette anni esce dalla sua casa di città verso le ore 18:45 per recarsi a una festa da ballo privata. Quattro giorni dopo, in seguito a uno sviluppo drammatico della situazione, […] essa suona alla porta del commissario Walter Moeding […] e fa mettere a verbale allo spaventatissimo Moeding che quel giorno stesso, nella propria abitazione, verso le 12:15 essa aveva ucciso a colpi di pistola il giornalista Werner Tötges.
Nel 1974, quando viene pubblicato L’onore perduto di Katharina Blum, Heinrich Böll era reduce da un acceso dibattito svoltosi sulle pagine del Der Spiegel dove lo scrittore, in un articolo, criticava il modo con cui la stampa di destra, e in particolare il quotidiano Bild, si rapportava al terrorismo e al caso della giornalista tedesca Ulrike Meinhof. Diretta conseguenza di ciò fu la marchiatura dello scrittore tedesco come “comunista amico dei terroristi” (marchiatura avvenuta principalmente ad opera dello stesso Bild che, ancora una volta, si dimostrava l’organo di calunnia più attivo), nonostante non fosse un grande sostenitore delle politiche portate avanti dall’URSS. Ma poco importava alla stampa, ormai sua perfida nemica: ciò che realmente contava, infatti, era poter colpire il proprio bersaglio. Ma soprattutto farlo nel modo più brutale e incisivo possibile: insomma, marchiare l’uomo più a fondo che si potesse. E accertarsi che le tesi sostenute e diffuse dai giornali fossero reali sarebbe stato un compito riservato solo ai più volenterosi e curiosi lettori, i quali non erano certo in gran numero. In ogni caso, le insinuazioni che colpirono Böll lo costrinsero ovviamente a porsi un gran numero di domande sulla situazione nella quale era stato gettato. Così, guardandosi un pò intorno, analizzando quanto accaduto a lui (e sicuramente a molti altri), dedusse e comprese quanto la stampa, con i propri subdoli mezzi, fosse in grado di influenzare radicalmente (e, ahimè, irreversibilmente) e penetrare nelle profondità della vita di un essere umano, condannandolo al peso talvolta insostenibile di una continua e pubblica gogna.
Ora, quanto accaduto a Böll, se paragonato ad altri casi di cronaca ben più gravi, parrebbe “cosa da niente”. E come tale appare anche se messo in relazione con quanto accaduto al personaggio del suo romanzo, la giovane Katharina Blum, nata probabilmente dalla rielaborazione della vicenda in cui si è trovato coinvolto. Non ci stupisce che Heinrich Böll, “fresco di calunnia”, dallo scoppio della polemica a qualche anno di distanza, abbia scritto e pubblicato un’opera interamente incentrata sulla storia di una giovane donna tedesca che, esasperata dall’azione diffamatoria di un giornalista, arriva a commetterne l’omicidio. E non ci si stupisce neppure del delitto di Katharina Blum, soprattutto se, grazie alla narrazione di Böll, riusciamo a sprofondare nelle sua dura esistenza e nella sua fredda psiche, comprendendo quanto possa essere esasperante la vita di una donna divorziata e costretta a racimolare lavori in giro per la città per mantenersi da vivere. Ci si chiederebbe (o per le meno, l’ho fatto io), perchè una donna come Katharina Blum, che possiamo definire come un personaggio ai limiti della scala sociale, debba essere così ferocemente attaccata dal GIORNALE? La motivazione avanzata dal testo è certamente vera, ma insufficiente poiché mi sembra che non esaurisca del tutto la risposta. Di fatto, la colpa di Katharina consisterebbe nell’aver trascorso una serata (e la notte stessa) in compagnia di un noto criminale, tale Ludwig Götten; e, poiché innamorata di lui, di averne agevolato la fuga. La genuinità di Katharina ci permette di credere che lei non sapesse effettivamente di quali crimini si fosse macchiato il suo innamorato (furono, diciamo, “edulcorati” durante la narrazione dello stesso Götten); ma se anche fosse stata al corrente della situazione giudiziaria nella quale Ludwig si trovava, sarebbe veramente difficile biasimare la sua condotta, dettata da questioni puramente sentimentali che, in quanto tali, risultano spesso estremamente complesse da risolvere. E quando, dalla mattina successiva alla notte trascorsa con Götten, la giovane ventisettenne si ritrova ogni angolo della casa perquisito, una serie di oggetti e documenti sotto sequestro e una squadra della polizia fin dentro la cucina, inizia il suo calvario: piomba, dall’amorevole e accesa nottata d’amore, in un inferno di turpitudini e vili bassezze di ogni tipo. Il GIORNALE, infatti, inizia a sbizzarrirsi contro la ragazza, pubblicandone foto gigantesche direttamente in prima pagina, accompagnate da titoli dai caratteri cubitali che recitano frasi quali: “KATHARINA BLUM L’AMANTE DEL BANDITO”, e arrivando a insinuare ipotesi di connivenze e incontri premeditati. Si aggiunga a tutto ciò l’alterazione di alcune dichiarazioni di persone vicine alla giovane ragazza che sono state volutamente estrapolate, decontestualizzate e, talvolta, modificate: il “molto fredda e intelligente” dell’avvocato difensore di Katharina è stato sostituito da un “gelida e calcolatrice”, forma decisamente più appetibile per gli ignari e numerosi lettori del GIORNALE. Eppure, tutto ciò può mai giustificare un tale accanimento su una povera e giovane donna? Se Katharina non rappresenta un temibile avversario politico o una personalità del mondo industriale con la quale si deve discorrere di importanti affari economici, perchè dev’essere oggetto di tali orribili diffamazioni e malvagità umane? Katharina, nella scacchiera della società, non è nient’altro che un semplice pedone: si trova in prima fila, costretta a difendere il re e la regina, costretta a sacrificarsi e ad essere “mangiata” per prima. È lei che viene data in pasto ai pescecani della stampa: innocente, indifesa, vittima delle sadiche macchinazioni che portano alcuni giornalisti del tutto privi di scrupoli a travestirsi da imbianchini, entrare di soppiatto nell’ospedale della città e strappare, ad una moribonda signora recentemente operata di cancro e costretta al più rigoroso riposo, qualche dichiarazione con la quale poter mettere in moto la propria ignobile fantasia, così da raggiungere agevolmente e senza il minimo sforzo i loro spregevoli scopi. Katharina si trova così coinvolta in un vero e proprio caso mediatico: ben prima dell’era dei social network, si è abbattuta sulla donna quella che oggi chiameremmo comunemente shitstorm, nelle consuete forme che il metodo denigratorio comprende: sguardi riprovevoli, insulti, lettere minatorie, chiamate anonime (con annesse richieste sconce): in una sola parola, assiste alla perdita inesorabile della propria dignità (di donna e di essere umano). Il titolo del romanzo, difatti, non poteva essere più eloquente: un “onore perduto” che difficilmente potrà essere riconquistato. E nonostante il romanzo, come ho già detto prima, sia uscito solo nel 1974, pare anticipare, con acuta lungimiranza, ciò che ancora oggi, quotidianamente, si verifica su Internet. Il mezzo è stato sostituito: non più rotocalchi di carta, ma piattaforme social. Un’evoluzione, questa, che ha portato ad una diffusione capillarmente più estesa del fenomeno della diffamazione: se probabilmente nel 1974, scappando in un’altra città, Katharina Blum avesse potuto ricominciare una nuova vita, oggi, nell’epoca dei social, ciò non sarebbe attuabile: il fenomeno si sarebbe esteso progressivamente e senza sosta, arrivando a coprire vastissime porzioni di mondo, travalicando (nei casi peggiori) anche le frontiere nazionali. Il fenomeno virale Katharina Blum non avrebbe conosciuto tregua, se non quella che unicamente il tempo, dopo aver recato tanta sofferenza, sa talvolta garantire: nella speranza che essa non giunga troppo tardi, quando ormai non c’è più niente da fare: quando ormai si è perso praticamente tutto.
Del resto – dice la stessa Katharina – come fa la gente a sapere che sono tutte bugie?
Non c’è biasimo per chi, ingenuamente, crede a quanto scritto nel GIORNALE, il cui carattere evangelico rende difficile qualsiasi confutazione o ripensamento riguardo la veridicità dei fatti. E infatti la requisitoria che Böll porta avanti nei confronti dello strapotere della stampa giornalistica (piuttosto che verso i suoi lettori), capace di rovinare un’intera esistenza grazie all’utilizzo di qualche menzognero titolo scandalistico, dimostra quanto l’azione diffamatoria dei media sia un atto assolutamente irreversibile: una volta attuata la fitta trama di dichiarazioni decontestualizzate, crudeli bugie e interviste alterate, non è più possibile o concesso tornare indietro. Si può solo cercare di addolcire l’atterraggio, ma la caduta ormai in atto non può più essere arrestata: non si sfugge alla macchina, on n’échappe pas de la machine: si viene stritolati dai suoi terribili ingranaggi. E il tonfo che, una volta atterrata, Katharina Blum provocherà sul terreno sarà fragoroso. Addirittura pare che lei stessa, come un rapace, acquisti una posizione del corpo particolarmente aerodinamica che le possa permettere di toccare terra il prima possibile e con una maggiore intensità: quasi volesse creare un gigantesco cratere, come ultima testimonianza della sua storia, in memoria della sua travagliata esistenza. Una volta sprofondati, tanto vale abbandonare ogni rimpianto e attuare il folle piano che possa ridare un minimo di colore alla propria dignità, barbaramente lacerata e distrutta. E forse l’unica cosa in grado di aiutare la giovane donna ormai sfranta, pare essere quel sentimento che, covato in petto da molti, si pone come uno dei principali motori di geniali trame letterarie e storiche: la vendetta. Werner Tötges, alimentando l’infernale macchina dello scandalo chiamata GIORNALE, le aveva rovinato la vita. Non si era inoltre posto alcun limite o scrupolo nel rispettare le precarie condizioni di salute della moribonda signora Blum, spinta nella tomba direttamente dal suo intrusivo istinto da giornalista-sciacallo. Aveva provocato la morte fisica della madre di Katharina Blum e la morte sociale di quest’ultima. Così, il 23 febbraio 1974, invitato con il pretesto di un’intervista, giunto nell’appartamento della giovane donna, Werner Tötges viene freddato da quattro colpi di pistola, mentre era intento “a brancicare i vestiti” di Katharina.
Rocco Rossi