
In occasione dell’appuntamento elettorale del 3 e del 4 ottobre Puntaccapo, in quanto rivista che si identifica con determinati valori politici e sociali, ha deciso di intervistare chi tra i candidati li rappresentasse maggiormente. Abbiamo quindi scelto di ascoltare due liste progressiste e radicali, con volti giovani, femminili e in grado di dare risposte alle tematiche a noi più care: Emily Clancy di Coalizione Civica e Marta Collot e Noemi Curione di Potere al Popolo.
Durante gli incontri ci siamo concentrati sui giovani, sull’emergenza abitativa e sul turismo, cercando di creare un confronto e di evidenziare problemi e possibili soluzioni.
Negli ultimi anni si è assistito da un lato a una progressiva riduzione degli spazi storicamente dedicati alla comunità studentesca, dall’altro a una retorica di criminalizzazione riguardante la zona universitaria, dipinta come teatro di assembramenti illegali, malavita e degrado. La pandemia in particolare ha portato all’estremo alcune dinamiche, evidenziando la difficoltà di conciliare i bisogni dei giovani non tanto con la salute pubblica, quanto con il malcelato interesse economico dell’amministrazione.
Marta Collot e Noemi Curione sottolineano come lo sgombero di centri sociali (l’ultimo è stato quello di XM24), il transennamento delle piazze, la scarsità di parchi pubblici nel centro storico o la mancanza di una riapertura in sicurezza degli eventi culturali abbiano causato, in assenza di alternative, un concentramento di tutta la popolazione giovanile all’interno dei pochi luoghi rimasti. Da qui il disagio lamentato dai residenti, la militarizzazione della zona universitaria e la colpevolizzazione della “movida selvaggia” e del degrado studentesco. D’altro canto, l’università non è da meno: oltre alla chiusura delle aule studio e delle biblioteche durante il Covid-19, è stata resa burocraticamente sempre più complicata la creazione di momenti assembleari o di dibattito pubblico da parte di organizzazioni non istituzionali.
Emily Clancy, di Coalizione Civica, invoca lo stesso equilibrio di vivibilità, attraverso una socialità diffusa che che alleggerisca il carico di alcune piazze, un servizio di trasporto pubblico notturno e la predisposizione di spazi sociali ad hoc. Una proposta cardine del programma di Coalizione civica è il “Sindaco o Sindaca della notte”: una figura già presente in diverse città europee, quali Amsterdam e Berlino, che assuma la delega, anche informale, di gestire la vita e la vitalità notturna a Bologna. Il progetto si declina in vari aspetti, il cui fil rouge è la creazione di un modello di “sicurezza a sinistra”. Si prenderebbero così le distanze dal modello poliziesco-repressivo attuato finora, considerato l’unica soluzione al “problema della zona universitaria, degradata dalla presenza di giovani e stranieri”.
L’investimento delle amministrazioni passate sul turismo massivo, inoltre, ha comportato un rincaro degli affitti, con la conseguente espulsione di studenti e classi popolari verso le periferie e una radicale trasformazione del centro storico a favore delle esigenze turistiche e commerciali delle classi più abbienti. A questo ha contribuito anche l’esplosione del modello di affitto a breve termine, che ha aperto le porte del mercato home-sharing a piattaforme online come Airbnb, tramite cui la speculazione dei privati ha sottratto disponibilità di appartamenti in città. Risultato: la scarsa offerta di affitti a lunghi periodi, di fronte all’aumento della richiesta, ha fatto schizzare i prezzi delle case alle stelle.
Secondo le candidate di Potere al Popolo, finora la risposta di Comune e Unibo non ha risolto niente, in quanto è risultata in continuità con l’asservimento del settore pubblico agli interessi privati di grandi investitori, palazzinari e speculatori edilizi. In particolare hanno sottolineato come il diritto alla casa non possa essere garantito dalla costruzione di studentati privati ed elitari, come lo Student Hotel nel quartiere popolare della Bolognina, i cui prezzi sono pressoché inaccessibili.
A tal proposito Emily Clancy, pur ammettendo la scarsità di leve legiferative a livello comunale, rincara la dose sull’inerzia delle istituzioni: sono misure indispensabili un lavoro in stretta sinergia con le altre realtà territoriali, a partire dalle conferenze enti locali-Regioni, e una maggiore pressione per l’introduzione di un canone concordato studentesco. Inoltre la candidata afferma la necessità di predisporre un grande piano per l’abitare pubblico, che comprenda la riqualificazione di edifici sfitti, abitazioni in disuso o di ex caserme. Noemi Curione ed Emily Clancy concordano sulla possibilità di dedicare questi spazi a studentati pubblici o case popolari, che vadano a coprire i bisogni e i diritti fondamentali delle persone.
Per concludere con le parole di Marta Collot: “Il modello di apertura adottato da Bologna si basa sulla competizione tra persone e tra territori, ed è in realtà un’apertura soltanto ai privati, ai grandi capitali, ai grandi finanziamenti, a un turismo che distrugge il tessuto economico cittadino (Clancy lo definisce “insostenibile”). La soluzione non è quindi la chiusura in se stessi, ma rimettere al centro gli interessi collettivi, ripensando a un’idea di città dove siano garantiti casa, lavoro e servizi per tutti; così facendo non si porrebbe il problema di scontro tra turisti, studenti e abitanti della città. Insomma, eliminare la logica di competizione per una coperta troppo corta.”
A queste premesse viene quasi spontaneo notare una certa affinità di pensiero tra Clancy, Collot e Curione sulle tematiche affrontate, nonostante siano esponenti di partiti diversi, rispettivamente Coalizione civica e Potere al popolo, oltre al fatto che Collot e Clancy sono candidate separatamente e concorrenti nella corsa al consiglio comunale. L’ultimo tema affrontato con ciascuna di loro è stato proprio questo: rispettivamente l’alleanza con Lepore da una parte e la decisione di non farne parte dall’altra.
Sono state due scelte opposte, dettate da prospettive diverse su come fare politica di sinistra. Durante i cinque anni di amministrazione Merola, Coalizione Civica ha portato avanti un modello politico di forte e critica opposizione al Partito Democratico, al fianco del quale, invece, si trova a correre a questa tornata elettorale. Da più parti è stata mossa “l’accusa” che Coalizione Civica, come tante realtà prima di lei (ultime le Sardine), sia stata assorbita dal PD, perdendo il proprio carattere di sinistra nuda e cruda che non si presta a compromessi, anche a costo di perdere le elezioni. E in effetti anche al suo interno inizialmente qualcuno storse il naso: Coalizione civica sono le ragazze e i ragazzi militanti nei centri sociali, mentre chi ragazzo non può più definirsi ha la tessera del PCI. Sia le une sia gli altri sono cresciuti con una coscienza politica e culturale maturata nei collettivi, in esperienze sindacali e nei presidi in ogni piazza della città. E come se ciò non bastasse, è stata la giunta in cui figurava Lepore a sgomberare Làbas e XM24. Un’alleanza simile in effetti è difficile da spiegare; tuttavia non va accolta con troppa leggerezza la tesi della “patente di purezza della sinistra” che Coalizione Civica avrebbe scelto di non rinnovare.
Le cose potrebbero essere andate in modo molto più complesso, occorre guardarle con maggiore distanza per capirle, e ascoltare la storia come raccontata da Emily Clancy. Nella primavera 2021 il Centro-sinistra a Bologna era completamente scisso per l’arrivo delle primarie e all’ordine del giorno c’erano pochi argomenti, basati solo su nomi e alleanze. Già nell’autunno dell’anno prima, Emily Clancy e tutte le compagne e i compagni di Coalizione Civica avviarono il dibattito Metropolis, una discussione con i cittadini bolognesi incentrata esclusivamente sui temi all’attenzione del governo. Da mesi di dialogo vennero fuori da un lato le 7 idee primarie, un programma che esplicita i temi verso cui Clancy compagni rivolgono i loro occhi, dall’altro una convinzione di fondo che lei stessa riassume perfettamente: “per rispondere al lascito della pandemia, è necessario che la nostra sensibilità faccia parte di una squadra di governo”.
La scelta sul posizionamento della lista è stata fatta dopo, ed in particolare dopo che Lepore si avvicinò per la prima volta a Clancy, chiedendole il suo sostegno alle primarie del centro-sinistra. Al termine di una ponderata trattativa tra i due, Lepore, secondo la consueta formula “prendere o lasciare”, accettò l’intero programma elaborato da Coalizione Civica, ricevendo da questa pieno appoggio per la sua candidatura a sindaco. Il modello è chiaro: fare parte del governo della città e spostarlo a sinistra.
La meglio gioventù di Tullio Giordana dà un chiaro insegnamento sulla potenzialità della lotta dall’interno, una scommessa che rischia di essere pagata a caro prezzo, ma la cui riuscita può produrre effetti ben più soddisfacenti rispetto alla lotta d’opposizione. Coalizione civica sino ad ora ha perseguito tale obbiettivo con grande lucidità, sostenendo sì un alleato nei cui confronti ha portato avanti per circa un lustro una politica di contrapposizione, ma al tempo stesso vincolandolo, oltre che nei propri confronti, anche in quelli di un’ampia e critica fascia di elettori. Sembra aver funzionato sino ad ora per quanto riguarda le priorità programmatiche: la proposta del Sindaco/a della notte, già cinque fa apparsa nel programma di Coalizione, riceverà questa volta attuazione, è stata accolta la candidatura di Bologna come città a zero emissioni entro il 2030, ed altrettanto le sette idee primarie sono entrate in toto del disegno politico di Matteo Lepore.
Per conoscere l’esito complessivo di questa scommessa bisogna attendere le urne, consci del fatto che esso potrà essere confermato o smentito nei prossimi cinque anni.
Una cosa è certa, e le parole di Emily Clancy lo dimostrano chiaramente: non è stata una scelta fatta a cuor leggero, riconducibile alla categoria degli intrallazzi pre-elezioni, ma uno schema politico forse ambizioso e forse ambiguo. Ma proprio in tanta ambiguità trovano riscontro i requisiti di progressismo e la capacità di incidere sull’impatto sociale che ha avuto la pandemia.
Marta Collot d’altro canto sottolinea come il Partito Democratico sia sempre stato nemico delle classi popolari, primo responsabile di provvedimenti “reazionari” in termini di diritto del lavoro o di diritti dei migranti (quali il Jobs Act e i decreti Minniti o gli accordi con i lager libici).
La candidata mostra poi l’altro lato della medaglia, ritenendo che l’alleanza di Coalizione Civica e delle altre liste con Matteo Lepore e il PD non sia giustificata dalla fase storica attuale. Ricorda quanto tutto questo sia in contraddizione con la “logica del voto utile” raccontata anni fa, ovvero votare il PD per evitare l’avanzata della Lega: strategia che non ha portato alcun risultato. A livello nazionale ora invece i due partiti governano insieme, hanno intenzione di sbloccare gli sfratti e i licenziamenti e vogliono spartirsi i fondi del PNRR, fondi su cui Matteo Lepore e Fabio Battistini si sono già messi d’accordo a livello locale.
La motivazione di Coalizione Civica di “provare a spingere le cose a sinistra dall’interno” e di “riuscire a dirottare questi fondi verso misure di giustizia sociale” secondo Collot è sbagliato dal punto di vista della coerenza e fallimentare perché storicamente non ha mai funzionato. In secondo luogo, i fondi provenienti dall’Europa non sono regalati, bensì condizionati a riforme strutturali, riforme che andranno a tagliare completamente le gambe ai lavoratori e alle lavoratrici. La candidata conclude sostenendo che, proprio in questo momento storico, continuare a “prestare il fianco” e mettere anni di esperienza a favore di un partito come il PD per farlo passare da progressista sia politicamente sbagliato.
Se c’è una possibilità che qualcuno sposti il baricentro politico di qualcun altro all’interno della coalizione, casomai sarà il PD a trascinare Coalizione Civica meno a sinistra, come è sempre successo. Secondo la candidata di Potere al Popolo questo sta già accadendo, e si nota ad esempio da come abbiano già tirato i remi in barca per quanto riguarda il passante di mezzo, o dalle dichiarazioni di securitarismo sul piano d’aumento delle forze dell’ordine.
Dal punto di vista di Potere al Popolo, se il centro-sinistra era già un nemico in passato, adesso ancora di più, in seguito all’alleanza di governo con la destra. È infatti il momento di smettere di fingere che il PD sul piano locale sia qualcosa di diverso dalle scelte fatte dal nazionale. Questo anche alla luce del fatto che Matteo Lepore si trovi perfettamente in continuità con l’amministrazione precedente, in cui ha lavorato per dieci anni: “Non è l’ultimo arrivato e non è estraneo ai fatti” dunque, bensì ha una responsabilità nei confronti della situazione attuale e degli errori che l’hanno causata. Quando il candidato parla del modello di questa città non mette al primo posto l’inclusione sociale, e secondo Marta Collot nei prossimi cinque anni continuerà le stesse politiche insostenibili, se non peggio, di quelle portate avanti da Merola.
Potere al Popolo invece ritiene che non si possa fare niente di buono per questo Paese senza rompere con il sistema di potere del Partito Democratico, che prevede accordi e alleanze per continuare a perseguire i propri interessi. Nell’ultimo anno e mezzo, l’intera classe politica rappresentata da questo schema ha distrutto le nostre vite, dimostrando quali siano tali interessi: tutelare i privati e far ripartire il Paese solamente per le multinazionali, per le grandi imprese e per Confindustria. Bisogna invece cominciare sin dalle città a fare un’opposizione forte e decisa a questo governo, e a tutto quello che rappresenta.
Le parole di Marta Collot mettono in luce quanto, pur trovandosi in sintonia su certi contenuti, lei ed Emily Clancy non potrebbero essere più distanti circa il modo di attuarli. Se la prima dà senz’altro l’idea di una strenua e radicale lotta politica, alla seconda va riconosciuto che quel tipo di lotta l’ha già combattuta per un’intera legislatura.
Non tutte le compagne sono tali allo stesso modo, e tanto sia d’esempio: un modello alternativo di fare politica c’è, in entrambe le direzioni, e la scelta dell’una o dell’altra non va confusa con una rinuncia al confronto o, talvolta, al conflitto.
Costantino Bovina
Giovanni Chemello