Un po’ di chiarezza sul Referendum della Giustizia

Referendum! Si risvegliano gli animi di chi ancora è mosso da concetti come democrazia, sovranità del popolo, partecipazione popolare. Domani, per rispondere ai 5 solenni “volete voi … ?”,  si chiede a ogni cittadini di ricorrere alle proprie opinioni in merito al ruolo della magistratura e alla fiducia che si ripone  in questo organo. A patto che un’idea su questi temi la si abbia, le domande sembrano riguardare argomenti molto lontani e non sono chiari i motivi (ma soprattutto le conseguenze) di quei e quei No.

Ad ogni modo, prima di entrare nel vivo dei singoli quesiti, occorre fare un paio di premesse. Innanzitutto bisogna acquisire l’adeguata consapevolezza in merito alla portata politica del tutto. Non impropriamente, il referendum è stato definito da più parti “un attacco alla magistratura”.  L’idea di base è che questa non sia più, ormai da tempo, quell’organo così perfetto pensato dalla costituente (in antitesi all’esperienza fascista dei tribunali speciali), indipendente, soggetto soltanto alla legge, in grado di autogovernarsi e formato da persone colte, sensibili, con uno spiccato senso della giustizia e selezionate attraverso un concorso pubblico. Dietro ai c’è chi è consapevole che i tempi sono cambiati e non ha paura di avere uno sguardo critico e carico di diffidenza verso un organo pur sempre formato da esseri umani ai quali, si sa, è sempre rischioso affidare troppo potere. La conferma di questo ci è recentemente arrivata nella primavera dell’anno scorso: la bufera del caso Palamara (a cui, tra l’altro, è strettamente riconducibile l’ultimo dei quesiti referendari). Dietro ai troviamo i radicali, che dagli anni ’80 in poi (da Tortora in poi) portano avanti rivendicazioni di questo tipo.  Dietro ai No c’è la convinzione che la magistratura, e soprattutto la sua indipendenza, rimanga da proteggere. Gli attacchi sono continui: i giudici sono entrati nel mirino del populismo salviniano, che ha condotto contro di loro odio e diffidenza. Odio che spiega il assoluto di Salvini, promotore del referendum. A un indebolimento di questo tipo corrisponde una tendenza alla mediatizzazione dei processi, una giustizia succube della pancia del popolo, soggetta a continue ingerenze del potere politico.

Nel mezzo, la consapevolezza che la magistratura ha i suoi limiti ma che i problemi della giustizia italiana sono altri: in primis, i tempi lunghissimi. In questo senso si pone la proposta di riforma della ministra Cartabia, la cui discussione del testo, che coglie anche alcune sollecitazioni referendarie, è stata rimandata, in attesa degli esiti, al 15 Giugno.

Non di secondo piano è il problema del quorum: per essere valido, il referendum ha bisogno della partecipazione del 50% più 1 degli aventi diritto al voto. L’obiettivo probabilmente non verrà raggiunto: l’interesse, che un anno fa contestualmente al caso Palamara aveva raggiunto livelli altissimi, sembrerebbe essere calato con il cambio di governo e la nuova riforma Cartabia in cantiere; inoltre, i media non ne parlano e in generale vige un clima di scarsa comprensione e attenzione.

Referendum numero 1 – scheda rossa: abrogazione legge Severino

Lega, Forza Italia: “Saremmo pazzi a non volerlo, sì

Radicali, Calenda: “

Partito Democratico: “No, ma fai come vuoi…

Giorgia Meloni: “Scusa Matteo ma no…

Movimento 5 Stelle: “Siamo spesso incoerenti, ma questo sarebbe troppo”

Si inizia in quinta: si chiede l’abrogazione totale di una legge (il che è già un’operazione quantomeno peculiare per un referendum che di solito taglia, al massimo, parti di articoli). La legge in questione è la legge Severino (2012, governo Monti) e prevede l’incandidabilità o la decadenza da cariche elettive e di Governo in caso di condanna definitiva per delitti gravi non colposi (per i quali si prevedono almeno quattro anni e che spaziano dalla corruzione al terrorismo e alla criminalità organizzata). Basti pensare, per capire che tipo di fastidi questa legge abbia attirato su di sé fin dalla sua introduzione, che uno dei maggiori colpiti dalla legge è stato proprio Silvio Berlusconi, condannato per 4 anni per frode fiscale nel processo Mediaset. E risulta dunque comprensibile capire perché Salvini, protagonista, finora, di ben 9 procedimenti penali, sia uno dei maggiori sostenitori dell’abrogazione.

Chi è a favore del No vuole principalmente proteggere uno degli interventi più importanti nel campo dell’anticorruzione in Italia, cercando di garantire la trasparenza dei nostri organi rappresentativi.

Qui, “lattacco alla magistratura” è abbastanza indiretto, sottile e celato dietro al fatto di non voler concedere alla magistratura il potere di dire chi è in grado di candidarsi e chi no.

Una fake news che circolava sosteneva che il referendum riguardasse solo  le sospensioni dalla carica (se sei già stato eletto, dunque) per gli amministratori locali che siano stati condannati con sentenza non ancora definitiva. Tale intervento avrebbe potuto avere senso all’interno di un’ottica garantista, scegliendo di non punire eccessivamente chi ancora non sia destinatari di una sentenza definitiva, lasciando intatto, all’interno della nostra costituzione, il beneficio della presunzione di non colpevolezza.

Ma, occorre ribadirlo, la notizia è decisamente falsa: il referendum chiede labrogazione dellintero testo di legge.

Referendum numero 2 – scheda arancione: esigenze cautelari

Matteo Salvini, Forza Italia: “Spariscono le parole “finanziamento illecito di partiti? Allora sì!!

Radicali, Calenda: “Meno carcere, più diritti? !”

Partito Democratico: “No, ma fai come vuoi…

Giorgia Meloni: “Matteo, ma come? Gli spacciatori liberi? No!”

Movimento 5 Stelle: “Sì, quindi no...”

Questo quesito riguarda una ipotesi molto specifica e sembra capitato lì un po’ per caso. Siamo in un contesto di procedimento penale. Durante il procedimento, prima di arrivare a una decisione, si possono presentare delle esigenze “cautelari”: delle motivazioni, cioè, per cui sia necessario disporre delle misure limitative della libertà personale o di altri diritti della persona indagata o imputata. Ce ne sono di più o meno invasive (dal divieto di avvicinarsi in alcuni luoghi, fino alla carcerazione preventiva) tra le quali il giudice dovrà scegliere, guidato da proporzionalità e adeguatezza. Il presupposto necessario, tuttavia, implica che ci siano almeno dei “gravi indizi di colpevolezza” nei confronti dell’indagato/imputato e che (ed è ciò che ci interessa ora) si presenti almeno una delle specifiche esigenze di cui all’articolo 274. Tra queste – che sono, ad esempio, il pericolo di una fuga imminente o il rischio che venga commesso un reato a mano armata o di criminalità organizzata – c’è anche quella a cui i giudici ricorrono molto spesso del rischio di “reiterazione del reato”. L’ipotesi è la seguente: il giudice, sulla base delle indagini o prove fino a quel momento raccolte, si convince dell’imminente pericolo che il protagonista del processo, da persona libera, possa commettere il delitto del quale è accusato. In questo caso, se e solo se, i delitti di cui parliamo sono abbastanza gravi (minimo 4 anni che diventano 5 se si vuole disporre la carcerazione), il giudice può ordinare la misura cautelare per cercare di scongiurare il rischio che venga commesso il delitto. Con il viene eliminata questa possibilità.

La volontà del taglio si inserisce in un macro-discorso di matrice garantista che cerca di limitare l’abuso dello strumento cautelare, soprattutto quello della carcerazione preventiva. Rispetto all’intervento organico e sistematico che forse sarebbe necessario, la modifica proposta si presenta come molto piccola: un mero punto di partenza di cui si fa però fatica a vedere le conseguenze concrete che potrebbe portare. Chi è per il No considera la norma già equilibrata di per sé, soprattutto per il fatto che il rischio di reiterazione del reato (che è l’ipotesi che si vuole tagliare) è in grado di giustificare la limitazione dei diritti solo se si tratta di reati abbastanza gravi. Ed è proprio su questo concetto di gravità che si presenta un’altra chiave di lettura del quesito, forse più utile per spiegare le motivazioni del (quanto meno, quelle di Salvini). Oltre a tutti i delitti per i quali si prevede una reclusione di 4 anni, è “abbastanza grave” (da intendersi nel senso citato prima) il reato di finanziamento illecito dei partiti. Non è difficile comprendere come un alleggerimento in questo senso sia auspicabile da parte del Carroccio. 

Anche qui,  il No riflette tranquillità nell’affidare nelle mani del giudice uno strumento coercitivo, il priva la magistratura di uno strumento di garanzia e prevenzione.  

Referendum numero 3 – scheda gialla: separazione carriere

Radicali: “Rappresenta lunico vero motivo per cui abbiamo fatto tutto sto casino…

Matteo Salvini: “Forze dellordine mai sotto ai giudici! !”

Forza Italia, Giorgia Meloni: “Come dici tu, Matteo…

Partito Democratico: “No, ma fai come vuoi…

Movimento 5 stelle: “inutile”

Questo è probabilmente il più importante di tutti e cinque i quesiti. Ciò che si chiede è l’abrogazione di tutte le norme che consentono il passaggio di funzioni dei magistrati da quella di pubblico ministero a giudice e viceversa. Il pubblico ministero è l’organo inquirente: quello che, nei procedimenti penali, dirige le indagini, formula l’imputazione e sostiene l’accusa. Il giudice è l’organo decidente: quello che decide se condannare o meno, se procedere o meno. Entrambi sono magistrati, indipendenti dal potere esecutivo. Oggi, nell’arco della carriera, i magistrati possono cambiare funzione 4 volte. Con il al referendum questa possibilità non ci sarebbe più: una volta vinto il concorso, il magistrato sceglie la funzione che svolgerà fino alla pensione.

La separazione delle carriere” (in realtà è improprio chiamarlo così perché la carriera rimane una ed è quella del magistrato) è un obiettivo nell’agenda politica dei radicali da molti anni (a partire dagli anni ’80), dalla vicenda di Enzo Tortora – che non caso fu presidente del partito radicale proprio nell’85 e ’86, gli anni tra la condanna e la sua assoluzione. Alla base c’è il pensiero per cui, per ottenere delle sentenze veramente giuste e scevre da ogni influenza politica o di altro genere, sia necessario evitare o comunque limitare qualsiasi tipo di contaminazione tra le due funzioni. Il ragionamento, di fatto, non è privo di senso: al giorno d’oggi, quando il passaggio è consentito fino a 4 volte, vige sicuramente di più il rischio d’influenza reciproca, rendendo dunque più concreta la possibilità che si creino alleanze o amicizie strategiche tra chi accusa e chi decide.

Fuori dall’Italia vince quasi ovunque il modello statico, quello per cui chi dirige le indagini e sostiene l’accusa ha poco a che fare con la magistratura. Se da noi si è mantenuto intatto il modello dinamico, di matrice costituzionale, la ragione è da ricercare nella grande fiducia che tradizionalmente è stata riposta nell’indipendenza della magistratura. L’idea che l’organo inquirente sia comunque magistrato è in qualche modo rassicurante, è garanzia di oggettività, trasparenza e terzietà. In questo senso, il referendum di domani è sintomo, nuovamente, di una perdita di stima nei confronti della magistratura.

Ma tutto ciò va appare vero più sotto un punto di vista “simbolico”. Oggetto di abrogazione, in concreto, sarebbero solo le norme che consentono il passaggio di funzioni. Ciò significa che niente cambia a livello di ruolo, funzione, poteri dei due organi. Non solo: l’indipendenza dal potere esecutivo rimane principio indiscutibile, protetto dai precetti costituzionali. Quello che si evita, al più, è che in udienza si possano incontrare due ex colleghi (l’uno in funzione di p.m. e l’altro in funzione di giudice).

C’è anche da dire che già la proposta di riforma Cartabia prevede che il passaggio di funzioni venga permesso una sola volta, invece di quattro (come allo stato attuale). Questo, per molti, sarebbe già di per sé sufficiente ad evitare quella rischiosa contaminazione di cui detto sopra.

Referendum numero 4 – scheda grigia: valutazione magistrati

Radicali, Matteo Salvini: “Più controllo per i giudici! !”

Forza Italia, Giorgia Meloni : “Va bene Matteo, ma poi con gli amici ci parli tu…

Partito Democratico: “No, ma fai come vuoi…

Movimento 5 Stelle: “Saremmo coerenti dicendo di sì, quindi no…”

Il quesito in esame riguarda il sistema di valutazione dei magistrati. Anche in questo caso è presente una forte componente simbolica più che sostanziale. Nel nostro ordinamento, infatti, i magistrati vengono valutati dallo stesso organo di autogoverno (il CSM), anche sulla base dei pareri espressi dai Consigli giudiziari a livello territoriale. All’interno del consiglio ci sono, oltre ai giudici, membri CD “laici” – avvocati e professori – che però, per il momento, giocano un ruolo minimo nella valutazione dei magistrati. Il mira a rafforzare il loro potere, permettendoli di esercitare con maggiore frequenza il diritto di voto. Lobiettivo è raggiungere giudizi più oggettivi sulloperato dei magistrati. E dietro al , come al solito e nel modo assolutamente più esplicito, esiste un pregiudizio, una diffidenza e, in generale, un’impellente necessità di maggiore controllo. Chi è a favore del No, invece, ritiene che di tutto ciò non se ne senta l’effettivo bisogno e che, al contrario, sia particolarmente inopportuno il giudizio degli avvocati verso chi, durante il processo, rappresenti la loro controparte. Anche la riforma Cartabia affronta il problema, seppur in modo più organico e meno invasivo.

Referendum numero 5 – scheda verde: candidature individuali CSM

Radicali, Matteo Salvini: “Sì sì sì! Finalmente!”

Giorgia Meloni, Forza Italia: “Matteo, secondo noi è inutile, ma come dici tu…

Partito Democratico: “No, ma fai come vuoi…

Movimento 5 Stelle: “Dovremmo dire sì, ma indovinate un po’…”

Si chiude in bellezza con il terzo, dopo legge Severino e separazione carriere, dei referendum più chiacchierati. La questione Palamara, qui, viene beccata in pieno. Il quesito riguarda il meccanismo di candidatura al Consiglio Superiore della Magistratura: se oggi servono dalle 25 alle 50 firme di sostegno, con il verrebbe eliminato questo limite, permettendo candidature individuali. Lobiettivo in questione è rappresentato dallindebolimento delle correnti(ovvero aggregazioni di magistrati uniti da un comune sentire politico e da una stessa idea sul ruolo della magistratura). Fenomeni, le correnti, che nascono fin da subito, a cavallo tra gli anni ’50 e ‘60, quando la magistratura si organizzò attorno a tre principali gruppi: Terzo potere, espressione soprattutto dei primi gradi; Magistratura indipendente, la corrente più moderata; Magistratura democratica, portatrice di idee maggiormente progressiste.

Sospendendo qualsiasi giudizio di merito sul fenomeno, nonostante per molti anni siano state accolte con favore, vissute come utili centri di dibattito e viste come occasioni di crescita per l’intera categoria, è anche vero che, da un quarto di secolo a questa parte, le correnti agiscono e funzionano sempre più come forti centri di potere, a volte troppo influenti nell’ambito di un organo, quale il Consiglio Superiore della Magistratura, che dovrebbe, al contrario, garantire assoluta indipendenza e trasparenza. Il caso Palamara può considerarsi il culmine di questi meccanismi: le indagini hanno rivelato come il consiglio abbia, per molto tempo, basato le proprie scelte in merito a nomine, assegnazioni e trasferimenti solo sulla base di precise indicazioni da parte delle correnti con più potere. Cosa che, senz’ombra di dubbio, rappresenta un’ignominia. Eppure, è anche necessario ricordare che il profilo patologico di un fenomeno non è per forza qualcosa di negativo. Chi è per il vede nel referendum una via d’uscita a tutto questo (o comunque un punto di partenza). Chi è per il No considera lo strumento assolutamente inadeguato ed inutile.

Intanto in Sicilia…

Se leggete da Messina, attenzione alla sesta domanda! Alle urne messinesi, infatti, sarà presente un quesito in più: quello riguardante la secessione di una serie di frazioni della città che vorrebbero unirsi e formare un comune a parte: Montemare, scelto in base al fatto che andrebbe ad unificare zone collinari e costiere.

Detto questo, buon voto a tutt*!

di Anna Providenti

Una replica a “Un po’ di chiarezza sul Referendum della Giustizia”

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