
Avevo da poco iniziato il liceo quando i telegiornali di tutto il mondo non parlavano d’altro che di un gruppo di ragazze russe che si era introdotto all’interno della Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca inscenando una sorta di concerto punk nella navata centrale della chiesa. La polizia era subito intervenuta, sequestrando chitarra e amplificatore e portando di peso fuori le performer identificate poi come il noto collettivo attivista femminista, Pussy Riot. La performance Punk Prayer viene subito condannata dalla maggior parte dei personaggi politici russi, tra cui il Vescovo Tikhon Shevkunov – confidente spirituale del Presidente Vladimir Putin – che definirà l’azione all’interno della cattedrale con l’appellativo di “Velvet Terrorism”
A dieci anni di distanza, le parole di Shevkunov sono diventare il titolo della prima retrospettiva in assoluto del collettivo, ospitata nelle sale dello spazio no profit islandese Kling&Bang a Reykjavik.
Con grande fortuna, ho avuto la possibilità di collaborare all’allestimento di questa incredibile esposizione, nata dall’amicizia tra Maria (Masha) Alyokhina, una delle fondatrici del collettivo a partire dalle prime performance nel 2011, e l’artista e curatore Ragnars Kjartanssonar.
L’atteggiamento punk e sopra le righe delle Pussy Riot non viene messo da parte all’interno dello spazio d’arte contemporanea; le sale di Kling&Bang si trasformano in un diario punk-rock pieno di fotografie, scritte a pennarello, nastri adesivi colorati e video installazioni. Il titolo dell’esposizione a caratteri cubitali e luccicanti dà il benvenuto ai visitatori su uno sfondo nero che apre le porte alla prima video proiezione. Si tratta di un lavoro inedito di Kjartanssonar che per l’occasione filma una dei membri del collettivo col volto coperto dall’inconfondibile passamontagna nell’atto di urinare sopra una gigantografia di Putin. Lo sguardo della performer è fisso sulla telecamera, impassibile e determinato, un gesto di sfida che termina con un calcio al santino del presidente che cade a terra tra gli schizzi di urina.
Il materiale successivo racconta cronologicamente la storia delle Pussy Riot, non solo mostrando le azioni e le performance ma anche riportando le proteste e le menzogne mediatiche in seguito dell’arresto di Masha e Lucy Shtein – parter e compagna – dovuto all’esecuzione del brano Punk Prayer. Questa dimostrazione costerà due anni di carcere a Alyokhina in una colonia penale sui monti Urali a più di 1000 km dalla capitale russa. Una volta avvenuto il rilascio, le proteste e le performance non si sono fermate. In mostra si ricordano alcune azioni iconiche quali Policemen enters the Game, l’invasione di campo durante la finale dei Mondiali di calcio 2018 dove le attiviste chiedono di fermare l’abuso di potere della polizia russa e la liberazione di tutti i prigionieri politici, oppure l’omaggio in occasione del sessantottesimo compleanno di Putin dove le Pussy Riot hanno celebrato il presidente installando alcune bandiere arcobaleno in cinque edifici governativi di Mosca.
L’ultimo atto di questa accesa rivolta contro la Russia totalitarista di Putin avviene allo scoppio della dichiarazione di guerra contro l’Ucraina: qui Alyokhina taglierà il bracciale elettronico, gesto che le costerà una nuova condanna al carcere per avere violato i termini della libertà vigilata a cui era stata obbligata da settembre 2021. Al centro dell’ultima sala, due video mostrano ironicamente le immagini di due cavigliere segnaletiche esposte come in una vetrina di un negozio di gioielli.
Inizia così la latitanza dell’attivista che, aiutata da Kjartanssonar, verrà provvista di un passaporto falso per poter lasciare lo stato e trovare rifugio della capitale islandese. Proprio a Reykjavik, le Pussy Riot hanno concluso lo scorso 25 novembre un breve tour europeo per promuovere lo spettacolo Riot Days, un adattamento musicale del libro scritto da Masha che racconta gli anni del carcere.
Con queste e altre azioni fatte di musica, arte e ribellione, le Pussy Riot sono diventate un’icona della lotta contro la politica totalitaria del Presidente Putin, dalla sua rielezione nel 2012 fino allo scoppio della guerra in Ucraina. L’atteggiamento ribelle e provocatorio di rendere soggetti e oggetti tipici di un linguaggio violento e dittatoriale, diventa parte fondamentale delle loro performance ed azioni: che si tratti di prigione, fruste, politici o collarini segnaletici, le Pussy Riot trasformano la violenza da parte dello Stato in materiale artistico, beffeggiando e spostando il potere nelle loro mani.


































VELVET TERRORISM
Pussy Riot’s Russia
curata da Dorothee Kirch, Ragnars Kjartanssonar e Ingibjargar Sigurjónsdóttur
fino al 15 gennaio 2023
Kling&Bang, Marshall House Grandagarður 20, 101 Reykjavík
Irene Bernardi