Jack detto “Jolly” (2/2)

– Capitolo 4 –

-Il pool-


Il team che misero su era composto di due tiratori e tre guidatori (tra cui il folle). I primi erano solamente lì per copertura, per gli altri il piano era questo: mentre sarebbe avvenuto lo scambio, due pattuglie avrebbero chiuso entrambe le uscite della strada, ed in mezzo alla foresta, una terza, col Jolly al volante, nell’unico stradino che poteva portare ad un’altra fuga; tuttavia era improbabile che i rapitori passassero di lì viste le presunte dimensioni del mezzo. In ogni caso la matta sarebbe stata pronta a dirigersi nella loro direzione, dopo la cessione dei soldi.
Prima le presentazioni dei tiratori. Ludovicoernesto Cannaliscia, chiamato in centrale “Luca” solo per convenienza, aveva 43 anni e veniva da una stirpe di militari. Il Jack non sapeva molto altro di lui, era un uomo tranquillo, che poteva fare molto male alle persone, non solo in modo fisico, ma sceglieva di non farlo, o di farlo sempre in modo rispettoso, se non perdeva la pazienza, certo. Ma non lo aveva mai visto perderla. Si diceva che suo nonno lo portava ad allenare la mira nei campi giù al sud sin da “bambinissimo”, ma forse solo perché aveva davvero un’ottima mira dalla distanza. Parlava poco ed evitava le chiacchiere inutili. Il secondo tiratore era stato un rapinatore di banche, poi passato dall’altro lato sicuramente per convenienza ma forse anche perché non voleva trascorre la propria vita in carcere, aveva scelto di lavorare per i propri acerrimi nemici. Nome: Giangian Soldi “Lesto”. Trent’anni, veniva dalla Cina ed il nome era più o meno la traduzione letterale del suo cinese. Era sempre allegro, non parlava molto la nostra lingua, alle volte urlava i nomi dei colleghi e poi una parolaccia sconnessa e si cacciava a ridere ogni tanto fino a piangere. Avrebbe sicuramente avuto parecchi aneddoti ma non si interessava d’imparare l’italiano, lo faceva solo quando non veniva pagato. Era diventato “Lesto” per quel motivo, ma sapeva anche colpire un bersaglio in movimento da chilometri.
Ora i guidatori: Paolo “Capo” Campobassetto, Gernistio “Centoquaranta” Soggi e Giacomo “Jolly” Provinciali. Il primo era un uomo basso sulla cinquantina, quasi pelato e leggermente in sovrappeso, sapeva tutto di macchine ed ogni tanto andava a fare dei giri in pista, pagandosi la giornata al circuito su una supercar; era il “capo” delle macchine, nelle gare clandestine tra i poliziotti degli Estensi non esisteva competizione, vinceva sempre lui. Dignitosamente abbronzato, si vestiva sempre con pantaloni lunghi e camicia, o polo. In compagnia diceva quello che pensava ma non si poneva come se sapesse tutto, era anzi parecchio insicuro, ma in un modo apprezzabile, non cambiava idea ogni mezzo secondo. Non voleva che gli altri pensassero di non poter dire cose solo perché c’era qualcuno che la pensava troppo diversamente da con chi era lì con loro. Centoquaranta invece sono i chilometri orari che faceva il secondo guidatore sulla romea; questi era un uomo con cui era difficile avere un dialogo, sembrava dovesse sempre essere da un’altra parte, quando Jack lo fermava in centrale per parlargli di qualcosa sbatteva gli occhi in continuazione poi guardava a destra o a sinistra poi cercava di uscire sempre dalla situazione in cui si trovava nel modo che gli traesse meno fatica; un po’ uno scansafatiche, ma quando c’era del lavoro da fare lo faceva in fretta, forse anche per questo motivo. Aveva quasi trent’anni, ed un po’ l’aspetto fisico del taxi driver di Estensi, non era insicuro nella maniera di Paolo, lui non parlava quasi mai durante le birre fuori servizio (ma si sedeva al tavolo), non raccontava mai cosa facesse mentre non lavorava, fumava, beveva, si guardava un po’ in giro, ed ascoltava; in queste occasioni era sempre il primo a tornare a casa. Di Jack inutile scrivere qualcosa qui.
Fernizio invece non era il tipo che andava in azione, lui catalogava, analizzava, studiava cose già successe. Il Jack gli aveva proposto di andare in macchina con lui, come una coppia di poliziotti, ma l’amico gli aveva risposto che temeva gli sarebbe venuto un infarto e d’esser d’intralcio. Quindi due tiratori chissà dove in pineta, dentro le loro due tute mimetiche, e tre sbirri in tre volanti pronti ad agire nello stradello del DolceVita resort. Fu presto ora di prendere le rispettive posizioni. Si fecero le 11:27, erano tutti pronti come immagino lo sia il lettore.

-Capitolo 5-


-Subito lì-


“Tutto ciò è ridicolo. Lei davvero crede, signor Tugobazzi, che una donna non voglia lasciare il marito che la picchia? Mi creda lo vorrebbe lasciare, ma poi, eh, poi pensa a quando stavano bene insieme e che può salvarlo. Si mette in ridicolo per lui, a costo di difenderlo davanti alle proprie conoscenze. Ma al cor non si comanda. Lei, più di ogni altro scrittore, dovrebbe saperlo.”
“Io non credo ad un bel niente. Ho semplicemente detto che non sapersi liberare di cose che ci fanno male, facendo l’esempio che lei ha riportato, la donna con il violento, ci fa vivere in una prigione; perché, ma poi questo lo dico io, non ci godiamo le cose per via di cose già successe e vediamo tutto con gli occhi di chi sa di aver già fallito. Cioè il noi del passato. Non sto dicendo: vivete senza rimorsi. C****, dovrete viverci per sempre. Sto solo dicendo, trattateli come avvenimenti morti, non troppo diversi da un albero che cambia colore per via delle stagioni, ogni anno, ha capito adesso?”
“Sì, va bè ho capito. Su quello le do ragione. Ma nel capitolo undici, lei dice esplicitamente di avere un sogno nel quale uccide la donna che dorme con lei. Signor Tugobazzi, ma che razza di sogno è mai questo?”
“Deve capire una cosa: io ho scritto di una persona che aveva quei sogni, e lei sa benissimo che fine fa. Lo ha letto tutto il libro?”
“Certo.”
“Bene, piccolo spoiler per i radioascoltatori allora, il protagonista non fa proprio una bella fine. Ma in fondo sa di meritarselo e lo pensa anche chi legge, quindi, se le persone ci trovano del vero vada, vada a parlare con loro e non con me! Il libro piace a loro, ed anche a me, altrimenti non l’avrei pubblicato, ma questo non vuol dire che io debba giustificare tutti i comportamenti dei miei personaggi, perché sono inventati!”
“Signor Tugobazzi, il suo libro è piaciuto a 13 persone su un blog di lettura il cui utente attivo più giovane ha 54 anni: si dia una bella regolata.”
“Sì, e lei si trovi un lavoro vero. Sempre bello venire a fare due chiacchiere con lei. La trovo, sa cosa? La trovo ringiovanito.”
“Ed ora, una selezione accurata di musica jazz. Grazie, singor Tugobazzi.”
“Ah certo, grazie a lei, bei contenuti, cambiate stazione finché siete in tempo.”
Jack stava saltando di stazione in stazione in cerca di qualcosa di interessante. Poi spense la radio e restò da solo dentro la macchina in mezzo agli alberi in silenzio per qualche secondo, poi accese una sigaretta nell’attesa. Si sentiva solo il suono di un uccello particolarissimo, che emette un verso simile a quello dell’antifurto di un’automobile, la cinciallegra.
“C’è tanta gentaglia in giro. Non so per quanto tempo potrò continuare ad attenermi alle regole dell’accademia. Quei pezzi di merda hanno preso Gesualdina, l’unica ragazza che non dovevano prendere. Ma adesso sta a loro. Farò in modo che in prigione abbiano un trattamento speciale. Docce fredde di notte, in mezzo al sonno, digiuno, pestaggi; perché no qualche stupro, pena prolungata e tutto quello che mi sarà suggerito. Per quanto voglia ficcargli la pistola fra i denti e premere il grilletto, a tutti loro, questa volta avranno la punizione che si meritano, e qualcosina in più, saranno vivi per soffrire quanto più tempo possibile. Dentro quelle quattro dannate mura. Pagheranno e sarà fatta giustizia.”
Iko e Gianvincenza erano arrivati alle 11:25, e si erano messi a cercare i tiratori nell’attesa di riavere loro figlia. Avevano visto solo GianGian Soldi, che li aveva salutati con la mano, perché loro avevano iniziato a fargli dei cenni con le braccia, ovviamente quando i delinquenti non erano ancora apparsi, ma Lesto non voleva fare saltare tutto il piano, e deve aver sussurrato qualche imprecazione in cinese mentre faceva ciao con la mano alla coppia. Luca se ne stava chissà dove.
Si fecero le 11:34 ma ancora niente, del furgoncino neanche l’ombra. Poi si sentì il rumore di una sgasata tremenda, niente furgoncino, quei criminali volevano svignarsela in fretta, altroché. Il Jolly vide sfrecciare una macchina viola palesemente non a norma in direzione dell’incontro. I fari dell’auto avevano creato un’impercettibile striscia agli occhi del due di colore bianco, poi scomparsa immediatamente.
L’autovettura viola si fermò davanti alla macchina dei genitori. Nel rivedere le stesse 4 persone mascherate dirigersi verso di loro, pur se in modo più pacato, venne ad entrambi un leggero mal di testa. Ebbero un dialogo, dopodiché uno di loro andò ad aprire il bagagliaio e fece uscire con forza la ragazza, ancora in un suo pigiama, macchiato da segni neri. Era scalza ed aveva un pezzo di scotch nero sulla bocca, e tutti i capelli disordinati. La matta assisteva alla scena guardando con il binocolo da dentro la sua macchinina gialla, truccatagli dal Capo ma di cui in fondo lui non sapeva nulla dei componenti; persino in quell’occasione stava indossando delle ciabatte.
Gesualdina camminò dalla madre, mentre il padre si avvicinò un po’ troppo lentamente per dare la refurtiva del colpo. I criminali tanto non avevano scelta, erano già lì sotto tiro, Jack vedeva che si guardavano tra di loro ma non fecero gesti inconsulti. Avevano due mirini puntati addosso e la loro vita dipendeva dal muovere del dito dei due della banda del Jolly. Un uomo mascherato agguantò il sacco e piombarono nella loro macchina. Intanto il Capo e Centoquaranta avevano già bloccato entrambe le uscite. Andarono verso sud. Appena lo superarono Jack, azionato il motore, sterzò bruscamente e si portò ai 40 in prima, poi scalò. Di sicuro la banda doveva essersene accorta, perché iniziò a sparare colpi all’impazzata non sfiorando che il finestrino della macchina color mostarda in quel folle inseguimento notturno. Il Jolly accese una sigaretta mentre stava sfrecciando in terza con il motore a 4000 giri nello stradino del BellaVita resort. Tirò fuori la radiolina:
“Si dirigono a sud. Mi hanno sparato. State pronti.”
“Qua Capo, ok J.”
“Li abbiamo sentiti. Centoquaranta in movimento.”
La macchina del capo fu una sorpresa per i criminali che provarono a frenare ma iniziarono a compiere giri interi a bordo del loro veicolo, mentre erano ancora al suo interno, emettendo un gran frastuono metallico. Il veloce mezzo venne fermato da un resistente tronco e questo dovette aver rincoglionito la banda un bel po’. Intanto il Jolly ed il Capo vennero raggiunti dal terzo collega, mentre puntavano pistole e torce ai delinquenti che cercavano di uscire da lì.
“POLIZIA DEGLI ESTENSI! FERMI LI’!” Il Capo urlò loro.
Ma uno della banda romagnola esce dal mezzo con una pistola e lo fredda subito con un colpo alla testa,

*BANG!*


poi spara il Jolly al ginocchio il quale cade per terra,

*BANG!*


e Centoquaranta fora il cranio all’aggressore.

*BANG!*


Rimane con metà corpo nell’auto e metà fuori. Jack cade per terra, il suo unico compagno rimasto si piega per portarlo al sicuro ma riceve subito tre colpi alla schiena che lo fanno cadere proprio sul folle!

*BANG!*

*BANG!*

*BANG!*


Il piano prevedeva che i tiratori seguissero l’azione. Bisognava solo sperare che fossero arrivati lì a momenti. Il protagonista strisciò fino ad un cespuglio dietro il quale si nascose a tirare fuori la beretta.
“Il mezzo è andato. Che cazzo facciamo? Come torniamo a Scacchi? Anche Giulietto è andato, porca merda.” Era parecchio agitato.
“Calma.” La voce di una donna. “C’è un mio amico che sta qui vicino. Lui riesce a darci un passaggio sicuro, gli dico che è urgente.”
“Intanto i soldi ce li abbiamo. Ora da divedere in 3 e non in 4. E gli sbirri sono ko.” Questo era il terzo membro restante della banda. Jack pensò che quel momento fosse perfetto per coglierli di sorpresa. Si assicurò la mira su uno dei ragazzi, poi fece un po’ di prove per provare a stenderli entrambi abbastanza in fretta, così: puntando l’arma velocemente prima verso uno poi verso l’altro, prima verso uno poi verso l’altro, in modo da non uccidere la ragazza. Non si sentiva di farlo. Poi:

*BANG!*

*BANG!*


Il telefono cadde di mano assieme ai due corpi tanto ricchi fino a pochi istanti prima e lei fece un urlo spaventata, poi alzò le mani, era in lacrime. Dava le spalle al Jolly.
“Non uccidetemi! Vi prego!” Ed ora in ginocchio: “Andrò in prigione! Andrò in prigione! Non voglio morire qui, assieme a quei tre, per favore! Vi scongiuro, no!”

-Capitolo 6-

-Epilogo-


Il Jolly si tirò su in piedi ed un po’ zoppicante entrò nel campo di visuale della ragazza, che si alzò pure lei ed assunse una posizione timida. Le disse:
“Perché hai preso parte a una cosa così? Quanti anni hai? 20? 21? Ce l’avevi una vaga idea, di quello che sarebbe potuto succedere?”
“Ho 20 anni. No, no che non ce l’avevo. Mi servivano solo i soldi. Tanti. La mia famiglia ha sempre avuto debiti con persone pericolose, ed ora tocca a me aiutare in un modo o nell’altro. Ho scelto io di farlo così. Ma non pensavo, davvero non pensavo che saremmo arrivati a tanto. Prima derubavamo stabilimenti balneari, ristoranti, cose piccole, non il rapimento di una ragazza come me.” E qui scoppiò a piangere di nuovo.
“Eppure, siamo qui. E lì per terra, 50’000 in contanti.” Disse Jack, che intanto le si era avvicinato sempre guardandola storto.
“Beh…” La ragazza era più alta di lui, lo guardava e si sentì di appoggiargli le braccia sul collo. “Cosa facciamo?” E lo baciò.
Ma in quel momento partono due colpi dalla foresta e la ragazza e il Jack cadono a terra stecchiti.

*BANG!*

*BANG!*


Non sapendo nulla di quello che stava accadendo e nel vederli da lontano i capelli di Jack erano parsi ai due compagni tiratori una maschera; lei invece quella sera ne indossava una di una pantera viola.
“Gesualdina… Spero di riuscire a rivolgerti la parola, un giorno.
Che la pantera viola, che la pantera viola… Sia maledetta.”

Davide Carassiti

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