
“We are the Robots” cantavano Florian Schneider e i suoi 4 compagni di classe del liceo, era il 1978. I Kraftwerk, cavalcano la scia della sfera musicale elettronica-extra-colta (passatemi il termine). Non solo la cavalcano, ma solcano un terreno mai esplorato, modellando i canoni di quello che poi è arrivato dopo. Ridefinendo non solo lo stile, ma anche il tipo di ricerca, allontanandosi totalmente dalle varie scuole e centri di ricerca di musica elettronica, della prima metà del ‘900… Come lo studio di Colonia o gli studi di fonologia della Rai di Milano nella prima metà del ‘900.
L’avvento della macchina, sulla macchina. Dai nastri ai fili, dai tagli al multitraccia dalla post-produzione all’”undo”. Dal computer AI robot.
Insomma, da quando Bob Moog ha inserito una tastiera nei sintetizzatori Il termine “musica elettronica” ha assunto un’accezione completamente diversa.
“Scusate il ritardo” direbbe il grande Massimo Troisi… Ci siamo presi del tempo, ci sono voluti mesi, per elaborare il lutto dello scioglimento dei Daft Punk. Colonna sonora d’inflessione d’oltralpe, dei balli dell’adolescenza, della maturità, per alcuni della vita stessa. Non è stato facile. Ma è successo… e ci siamo presi la briga di provare ad analizzarne il perché.
In un mondo in cui tutto sta diventando sempre più un automatismo, non scegliere di far scegliere a un algoritmo, è un atto rivoluzionario. Stiamo diventando dei robot, gestiti da veri robot. O forse, è sempre andata così? Beh, sicuramente i Daft punk lo sono sempre stati! Adesso non lo sono più. Perché continuare a far finta di essere dei robot, quando la musica la stanno già facendo i robot (intesi come intelligenze artificiali)?
Major come Apple, Google e affini, stanno cercando di sviluppare (alla grande insaputa non solo dei fruitori della musica, ma anche dei tanti giovani studiosi) IA in grado di arrivare a sostituire (e oltrepassare) la qualità e le capacità compositive e decisionali in termini creativi –e perfino tecnici e strutturali- di un/a Artista umano, dando modo, probabilmente, ad altre big major dello streaming come Spotify, di raggiungere il tanto decantato obbiettivo: “gli artisti devono far uscire almeno un album al mese”. Così si pronunciò Daniel Ek, CEO di Spotify, qualche mese fa. E se gli artisti diventassero dei “meta-artisti”? Anzi, direttamente rimpiazzati dai bot? Come le pile AA, Artisti Artificiali? Davvero è questo lo scopo e la direzione della prossima musica? La massificazione/plastificazione e l’ascolto indiretto e non scelto, è il futuro di una delle arti più nobili, antiche, difficili e discusse della storia?
I Daft Punk, ci hanno visto sempre più avanti di tanti altri. Hanno (forse) capito e anticipato la direzione e tramite questa scissione, probabilmente hanno deciso di non prendere parte a questa nuova rivoluzione post-moderna, avvento di una nuova era del mainstream, in arrivo tra qualche anno (?) per la “nuova” musica (O meta-musica).
David Bowie, in un’intervista (per la BBC nel 1999) riguardante l’avvento di Internet nella società, disse all’intervistatore : “siamo in realtà nel momento in cui tocchiamo la punta dell’iceberg, di un qualcosa che è allo stesso momento assolutamente esilarante e terrificante!”. Guardandoci oggi, come sempre David Robert Jones aveva ragione. Lo stesso accadrà qui, con questa nuova “rivoluzione” in ambito musicale. Ha le stesse, identiche implicazioni.
Dipende unicamente da come verranno utilizzati questi nuovi standard. Un conto, è mettere un assistente IA (ci sono -direi per fortuna- molte altre aziende che stanno andando su questo fronte) a fianco di un produttore o un compositore. Esattamente così come già succede, in alcune delle professioni sanitarie, negli ospedali più avanzati. Un conto è che il bot, rimpiazzi completamente questa figura professionale.
Un nostro amico, produttore di musica elettronica, che lavora per una delle case di developing di intelligenza artificiale applicata alla musica, una mattina si è svegliato con messaggio di un suo amico, che gli aveva fatto i complimenti per la sua nuova uscita.
Curiosità? Lui non sapeva che aveva fatto un album, in collaborazione con l’IA che lui stesso sta allenando. Un po’ inquietante. No?
Davvero i robot sostituiranno –in maniera olistica- un compositore umano? O magari un music producer, o un arrangiatore?
La risposta è: per adesso no.
Ci sono ancora tantissime falle in questa “nuova” tecnologia che stanno cercando di sviluppare e integrare. Mi sto rivolgendo alle due più grandi risorse dell’essere umano che un bot non potrà mai avere e che le reti neurali non potranno mai trasmettergli : l’emozione e l’errore.
Un essere umano sente. Per quanto anche questa, sia una cosa puramente extra-decisionale, dettata da una somma statistica dei liquidi presenti nel nostro cervello in quel momento, una donna o un uomo, hanno comunque delle emozioni. Un IA, Siri, o una macchina, non le hanno. E non le avranno mai. E questo cosa comporta a livello creativo? Bèh, è semplice. Malgrado il comporre, non sia -quasi mai- dettato dall’ispirazione (come spesso sottolineava Ennio Morricone) ma frutto comunque, della presa di coscienza delle tecniche compositive o delle strutture armoniche che conducono a uno stimolo compositivo. La creatività e la naturalezza, data anche dalle esperienze e dalle emozioni che stanno dietro all’artista, ricoprono un ruolo importantissimo nello sviluppo di un brano, oltretutto in moltissimi casi –per lo meno per i generi musicali meno “automatizzati”- un brano implicherà anche un’esecuzione di un musicista. Immaginate cosa può voler dire suonare un tema, un arpeggio o una melodia anche semplice, senza emozione? Direi che è ineluttabile. L’emozione e l’esperienza sono assolutamente aspetti necessari per la buona riuscita di una qualsiasi opera artistica.
L’essere umano, impara dagli errori, costantemente abita l’errore… la macchina può sbagliare forse, per un bug di programmazione (fatta da un umano tra l’altro) ma la macchina può essere perfetta, l’umano no.
L’umano, l’artista, cerca di tendere alla perfezione, perseguendo l’impossibile, per raggiungere quantomeno l’improbabile, l’inaspettato all’inizio del processo.
Brian Eno, diceva che aveva bisogno di sbagliare, perché grazie all’errore riusciva a raggiungere livelli alti del suo processo creativo, che altrimenti non avrebbe mai raggiunto, rimanendo ancorato all’idea originale.
Ma quanto è bello l’errore? Quanto è sano? Quanto è creativo? Ecco, questo pregio la macchina, l’IA non ce l’avrà mai.
Errore è creazione. Errore, è emozione.
A conti fatti quindi, il bot non prenderà il posto dell’umano –per lo meno nell’immediato- Ma attenzione. In questa nuova tecnologia, non tutto è da buttare. Se in questa rivoluzione, passerà come standard la forma “esilarante” ovvero quella dell’assistere il compositore o chi che sia… allora, ne vedremo davvero delle belle.
Perché collaborando con l’IA, l’artista, si sentirà nettamente inferiore nelle possibilità e nella realizzazione… e questo smuoverà dentro di lui/lei un assoluto sentimento di oltrepassare quel livello dettato dall’IA, permettendogli di andare sempre oltre. Ed è questo, l’importante per l’artista. Superare sempre, sé stesso.
E chissà, magari tra qualche decade torneranno anche i Daft Punk, in collaborazione con una qualche Intelligenza Artificiale o dei veri robot fisici, dotati anch’essi di casco… o magari, i Kraftwerk, giocando a far finta di esser dei robot ben prima dei sopracitati, avranno –di nuovo- previsto il futuro della “nuova” direzione (meta) musicale, mandando –definitivamente- dentro a un bel museo, tutto quello che ha cullato le nostre orecchie e allietato la nostra mente e il nostro corpo, da Monteverdi a oggi.
Roberto Pallavicini