
PERDERE TEMPO SU QUEI SOCIAL
“Tutto quel tempo prezioso speso sui social, avresti potuto fare altro:
studiare, leggere, scrivere, anche semplicemente fare un giro all’aperto.
Ed invece no, hai passato tutta la tua giornata a riempirti la testa di
spazzatura. Come si può lasciare il mondo a questa generazione?”
La vera domanda è, come siamo riusciti ad arrivare fino a qui nonostante
quei pazzi incoscienti che ci hanno preceduto?
Non riesci a capire “i social”? Stai zitto e vai via che non ho tempo. Come
in ogni ambito della realtà, il problema non è l’oggetto in sé ma le
persone prive di pensiero critico.
Anche il libro più denso e sofisticato sembra spazzatura a questi idioti.
Quindi parlando “dei social” vedranno sempre il lato negativo di un
universo di informazioni pronte ad essere scovate.
La cultura è su internet.
FACEBOOK
Meraviglioso social.
Quanto ti ho bramato prima di avere un account, quanta filosofia,
letteratura, comicità mi hai donato. Per non parlare della musica. Intere
giornate a cercare locali, gruppi di fan, band che producessero buona
musica. Un motore di ricerca culturale senza precedenti.
E poi il tuo algoritmo… che quel fatidico giorno, decise di premiarmi
avendo capito su cosa vertevano le mie ricerche.
Classica giornata liceale, 2014 secondo anno, torni a casa dopo 5 ore di
odio e disprezzo, temprati solo da alcuni compagni di classe, mangi, tv, e
poi provi a studiare, non ne hai voglia perché il metodo di
insegnamento della scuola italiana è determinato a privarti
dell’impulso di studiare, ti dici che, invece di sprecare la tua giornata
a far finta di stare sui libri, vuoi metterla a frutto, decidi quindi di
aprire “i social”.
Il mio vecchio PC era un Dell spesso quanto un mattone, grigio e
nero, di una lentezza tale da farti desistere al solo pensiero di usarlo.
Ma quel giorno ero determinato a fare qualcosa, non l’avrei data vinta
a quella feccia scolastica ed i loro compiti. Dopo più o meno 13 ore il
computer si accende, apro Facebook, vengo bombardato da una
quantità di informazioni immane ed una possibilità di scelta che
avrebbe reso Kierkegaard un vegetale. In mezzo a quel disastro di
notizie, qualcosa mi colpisce, una pagina consigliata da Facebook, ha
un immagine copertina che mi attrae, è la pagina di una band.
BLUE VOMIT
Il punk e non il Punk.
Il punk “quello con la p minuscola” non è di destra né di sinistra né
anarchico né fascista, è provocazione da tutte le parti, è mettere in
dubbio, dare fastidio, Rock’n’roll.
I Blue Vomit sono punk.
E neanche del tutto, gran parte dei loro brani sono Punk quasi politico,
noiosi e poco ispirati.
Ma hanno una meteora.
Un solo brano che vale l’intera carriera di quel fascista di John Lydon,
aka Johnny Rotten, voce dei Sex Pistols.
Un solo brano che li catapulta nella leggenda, e la cosa veramente
incredibile è che questi degenerati sono italiani.
“Blue Vomit”, un verso degli Squallor con il quale hanno deciso di
benedirsi da soli, fine anni ‘70 Torino, non serve altro a parte la
musica, non serve altro a parte quella meteora, non serve altro a parte
“Non mi alzo in pullman”
NON MI ALZO IN PULLMAN
Questa volta il semidio Spotify pecca di incompletezza, bisogna
rivolgersi all’unico ed il solo Dio YouTube per poter fare esperienza
di questa esplosione di energia di 2 minuti e 41 secondi. 2 minuti sono
il brano in sé, 41 secondi sono l’introduzione e l’epilogo di un opera
somma.
Nei primi 10 secondi il cantante, Luca Abort, con la voce di un
ragazzino di massimo 15 anni pone l’asticella ad un livello raggiunto
solo da “Sex and Violence” degli Exploited, poi il brano comincia
nella sua semplicità ed ignoranza.
Così meravigliosamente ignorante da non sapere neanche che quello a
cui si sta riferendo è un autobus e non un pullman.
Emancipazione dalle regole per 2 minuti, i Blue Vomit in “pullman”,
non si alzano per nessuno, né vecchi né “donne con tanti pacchetti”. E
poi l’epilogo.
Qui Abort dà sfogo ad una rabbia primordiale tale da infastidire anche
i suoi compagni, che tentano di trattenerlo con un “nooo”, tutto
condito da grida e risate folli che spingono l’ascoltatore ad urlare
ringraziamenti all’universo per l’esistenza di questo brano.
E poi finisce.
E cosa ci puoi fare?…Tanto vale ascoltarlo altre mille volte.
CONCLUSIONE
Devo davvero spiegarti il titolo dell’articolo?
di Matteo Bruscolini