
“A single man”, uscito nelle sale cinematografiche nel 2009 e rimasto sempre molto attuale, offre una serie di spunti di riflessione che Tom Ford, stilista di fama internazionale e regista, ha abilmente saputo inserire tra un ricamo e l’altro del film. Si tratta del racconto, drammatico e consapevole, della vita di un professore universitario dichiaratamente omosessuale che, in una delle scene più intense e meglio riuscite di tutto il lungometraggio, tiene una lezione di letteratura sul romanzo “Dopo molte estati muore il cigno” di Aldous Huxley. Ad un tratto, viene interrogato da uno studente, a proposito del passo in cui il personaggio letterario Propter dice che la frase più stupida della Bibbia è “mi hanno odiato senza ragione”. Si legge nel libro, infatti, che risulta sempre un po’ difficoltoso spiegare alle persone “sfortunate” che, almeno una parte delle loro disgrazie, va ricondotta e spiegata con il loro stesso comportamento che, direttamente o indirettamente, ha ingenerato determinate conseguenze negative. E’ il topos della colpevolizzazione della vittima, presente già nella letteratura latina, quando Tacito raccontò come Nerone diffuse la diceria che l’incendio scoppiato a Roma nel 64 d.C. era imputabile al dolo dei cristiani, colpevoli di essere lucifugi, eretici, anticonformisti e dissacratori dei culti pagani, allora riconosciuti come ufficiali dalla reggenza politica e dalla cultura dominante. In altre parole, i cristiani erano una minoranza e, come tali, andavano ghettizzati ed eliminati.
Tornando al film, l’universitario chiede al professore se Huxley fosse antisemita e se, quindi, la teoria di Propter potesse essere estesa latu sensu, giustificando così le persecuzioni degli ebrei. Il docente risponde che no, Huxley non era un antisemita, ricercava semplicemente la ragione delle cose. In questa prospettiva, l’odio dei nazisti nei confronti degli ebrei non era privo di motivazione, ma questa era immaginaria. Era la paura. Paura che, come spesso accade, si scaglia contro le più deboli minoranze, laddove rappresentino una minaccia -o presunta tale- per la maggioranza. “Le minoranze non sono che persone, persone come noi […] e la paura viene strumentalizzata dai politici per manipolare la nostra società, per la paura di essere attaccati, la paura che un piccolo paese dei Caraibi che non condivide il nostro stile di vita costituisca una minaccia, la paura che la cultura nera possa conquistare il mondo”.
Leggendo fra le righe del monologo del professore del film, potremmo cercare di dare una lettura -non una giustificazione, certamente- alle recentissime vicende politiche che hanno coinvolto la nostra democrazia rappresentativa, se di democrazia e di rappresentatività si possa ancor parlare. La verità è che le destre italiane (e non solo) hanno paura. Forse non è tanto l’ostilità aprioristica nei confronti del diverso, quanto la paura del cambiamento, migliorativo o peggiorativo che sia. Paura che il riconoscimento, civile ancorché doveroso, di una tutela nei confronti di alcune minoranze, possa in qualche maniera delegittimare la visione idilliaca e stereotipata della cosiddetta famiglia “tradizionale”, la quale comunque non sarebbe stata demonizzata, quand’anche fosse stata approvata in entrambe le camere una nuova norma, come quella che porta il nome di Alessandro Zan.
La paura è la vera protagonista della seduta parlamentare del 27 ottobre 2021, testimoniata dal fatto che la votazione deliberativa sia avvenuta sulla base del meccanismo previsto dall’art. 96 del regolamento del Senato, ai sensi del quale “prima che abbia inizio l’esame degli articoli di un disegno di legge, un senatore per ciascun Gruppo può avanzare la proposta che non si passi a tale esame”. Viene emblematicamente definita “tagliola” questa prassi parlamentare, profondamente antidemocratica ma coerente con la ratio di contingentare i tempi del dibattito politico, precludendo, dunque, l’analisi delle singole parti costitutive del testo, comunque potenzialmente emendabili, ed affossando definitivamente il provvedimento. Ma la paura si evince, in maniera ancora più evidente, dall’aggiuntiva richiesta di applicare l’ultima parte dell’art. 113.2 del regolamento del Senato, che consente la votazione a scrutinio segreto, se “richiesta da venti Senatori o da uno o più Presidenti di Gruppi che, separatamente o congiuntamente, risultino di almeno pari consistenza numerica”.
Chi non ha paura di affrontare un dibattito politico, chi si assume le proprie responsabilità, da pubblico parlamentare ancor prima che da privato cittadino, perché dovrebbe richiedere una censura dei nominativi dei votanti? Lo studio della storia, ma anche la stessa opera “Annales” di Tacito, ben illustrano che nel primo secolo dopo Cristo erano i cristiani ad essere perseguitati e additati come colpevoli, forse anche ingiustamente. Oggi, probabilmente, è proprio il retaggio religioso che, radicato in Italia molto di più che negli altri paesi europei, impedisce alla coscienza popolare e, di conseguenza, ai suoi rappresentanti in Parlamento, di approvare un disegno di legge garantista nei confronti della comunità LGBTQ+. Occorre ricordare, però, che ogni momento storico ha le proprie minoranze, e che l’identificazione di queste è sempre mutevole nel tempo, in continuo divenire e costante sviluppo. Non è questo il momento di rinunciare a lottare, di gettare a terra le armi o di smettere di crederci. Non abbiate paura. Non abbiamo paura.
Per guardare l’estratto del film è disponibile questo video https://youtu.be/x6XQ62VvBCI
Norma de Gregorio